Benetti Carlo GAM

GAM: Questioni irrisolte

GAM : In principio furono i tassi. Le politiche non convenzionali delle banche centrali, con i tassi a zero e poi negativi, avevano alterato la percezione del rischio, avevano provocato distorsioni dei prezzi e allocazioni sub-ottimali dei capitali.


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A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR


Nel reddito fisso i fattori all’origine del rendimento, e del rischio collegato, sono la durata dell’investimento e l’affidabilità dell’emittente. Quando i rendimenti crollarono sotto il peso delle azioni inedite e non convenzionali delle banche centrali, gli investitori in obbligazioni furono costretti a uscire dalla loro “comfort zone” e cercare il rendimento altrove. Una montagna di denaro si riversò su attività più rischiose, l’habitat finanziario venne sconvolto, la ricerca del rendimento faceva premio sulla valutazione dei rischi.

Oggi la percezione del rischio è alterata dalle azioni della tecnologia.

Nvidia, il gigante dei microprocessori sulla bocca di tutti e nei portafogli di molti, ha acquisito un ruolo dominante, la sua capitalizzazione ha toccato i tre miliardi di dollari, eguaglia e supera il valore di mercato di interi indici azionari, parlare di Magnifici Sette è diventato anacronistico, c’è un uomo solo al comando.

Il successo di Nvidia rappresenta in modo plastico il significato di realizzazione di utili e, nello stesso tempo, del possesso di enormi potenzialità di sviluppo: nelle fasi di mercato positive fa premio la prima, nelle fasi negative si scontano le seconde. Se esce testa vinco e se esce croce vinco ugualmente, esemplifica il Financial Times.

Accade che i titoli tecnologici, ovviamente rischiosi, assumano fattezze difensive: dalla loro hanno la felice combinazione di flussi di cassa imponenti, redditività e prospettive di crescita del settore ancora enormi (vedi anche L’Alpha e il Beta del 15.1.2024).

Ma, come sempre, qualcosa potrebbe andare storto.

Nei giorni immediatamente successivi allo sbarco in Normandia, le truppe alleate vennero impegnate per settimane a Caen dalla strenua resistenza opposta dalle divisioni Panzer. Se quelle divisioni di carri armati fossero arrivate sulle spiagge della Normandia pochi giorni prima, lo sbarco avrebbe avuto una storia diversa, forse Eisenhower avrebbe dovuto davvero pubblicare la lettera che aveva preparato in caso di insuccesso.

I militari, forse più di altri, condividono con chi opera sui mercati finanziari la dimensione dell’incertezza radicale, quando i piani o gli esercizi previsivi vengono puntualmente alterati dall’imprevedibilità degli accadimenti.

Si stanno accumulando un po’ di questioni irrisolte, ci avviciniamo al giro di boa dell’anno ma c’è bisogno di ulteriore tempo per poter tirare le righe tra i punti. Alcuni punti sono posti dalla Banca Centrale Europea e lasciati lì, in sospeso.

Il taglio della settimana scorsa, il primo dal 2019, era ampiamente atteso e infatti i mercati non hanno reagito, sostanzialmente stabili l’euro e il titolo tedesco a due anni, il rendimento si è mosso all’insù di soli tre punti base.

Ma è tutt’altro che certo che la decisione del Board dell’istituto di Francoforte sia l’inizio del ciclo di allentamento.

Gli spazi per tagliare ulteriormente i tassi sono risicati, i dubbi permangono, la traiettoria dell’inflazione nell’Eurozona non è netta: è diminuita dal picco di 10,6% del 2022 fino a 2,6% del mese scorso, un dato che ha però segnato un’accelerazione rispetto al minimo di 2,4% di aprile. La stessa banca centrale ha rivisto al rialzo le previsioni di discesa e il traguardo del due percento si sposta in avanti, nel 2025 la stima dell’inflazione è ancora a 2,2%. Nelle comunicazioni finali sono spariti i riferimenti all’allentamento della politica monetaria, sembra quasi che il Board si sia trovato tra l’incudine di evidenze non ancora confortanti e il martello di un taglio che era stato ampiamente annunciato.

Solo nei prossimi mesi potremo, forse, tirare le righe tra i punti e capire meglio le azioni della BCE, vedere le carte di Christine Lagarde. È stata ribadita l’importanza dei dati e l’indipendenza dalla politica della Federal Reserve ma, in filigrana, la BCE non è così indipendente: un ciclo di allentamento dei tassi in Europa con la Fed ferma nel paradigma “higher for longer” non sarebbe sostenibile, il peggioramento delle ragioni del cambio euro-dollaro, e dei costi delle importazioni, farebbe rientrare dalla finestra l’inflazione uscita dalla porta.

Altri punti che solo più avanti potremo collegare sono relativi ai mercati azionari.

Hanno ancora voglia di salire, hanno assorbito senza troppi turbamenti la guerra, lo sconquasso dei prezzi dell’energia e delle catene della fornitura, l’inflazione, più recentemente la morte del presidente iraniano Raisi, le tensioni in Medio Oriente. Il momentum resta favorevole, alimentato dalle prospettive degli utili e, in parte, dal FOMO, la paura di perdersi la festa, un fattore emotivo che introduce fragilità e che suggerisce cautela (vedi L’Alpha e il Beta del 27 maggio 2024).

Guardando a est, alla seconda economia del mondo, anche lì ci sono punti da collegare e fare sintesi.

Il primo punto è a Dalian, città costiera nel nord-est della Cina, a circa 850 chilometri da Pechino. Lì, dal 25 al 27 giugno, si terrà la versione estiva del Summit che il World Economic Forum organizza a Davos, il tema sarà “Le nuove frontiere della crescita”. Oltre 1.500 persone, esponenti della politica, dell’economia e della finanza mondiali discuteranno dell’economia globale, delle condizioni di quella cinese, dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni, del commercio globale, del clima, delle fonti energetiche.

L’altro punto da collegare riguarda il cosiddetto “Beijing Consensus”, una modalità di sviluppo opposta al “Washington Consensus” e caratterizzata da massivi investimenti pubblici, esportazioni, modernizzazione guidata dalla mano pubblica, difesa della sovranità nazionale.

Un modello che piace ai paesi in via di sviluppo è “la via della modernizzazione senza occidentalizzazione”, come ha detto lo stesso Xi Jinping, ma è una via che sembra opacizzata dalle deludenti performance dell’economia cinese. L’ipertrofico settore immobiliare appesantisce e frena, il Summit di Dalian e la versione 2.0 del “Beijing Consensus” fanno i conti con il serio rallentamento della seconda economia del mondo.

Nelle ultime settimane il governo di Pechino ha promosso una serie di misure a sostegno degli enti locali e, con una mossa coordinata, la Banca del Popolo ha annunciato un piano di finanziamenti per oltre quaranta miliardi di dollari finalizzati all’acquisto di parte delle case invendute.

L’intervento governativo sostiene l’industria manifatturiera ma solleva anche due questioni cruciali:

  1. la prima è lo scontro con i paesi occidentali: il denaro pubblico alle aziende altera i meccanismi della concorrenza, non siamo più nello schema ricardiano dei vantaggi comparati ma nell’infrazione grossolana delle regole del libero mercato; per i governi delle economie avanzate lasciar entrare i prodotti cinesi significa mettere a repentaglio i settori domestici;
  2. l’obiettivo del governo cinese è fare della Cina la maggiore potenza manifatturiera del pianeta e renderla quanto più possibile autosufficiente nelle catene di approvvigionamento; un obiettivo che farebbe della Cina una gigantesca economia chiusa con ripercussioni sul commercio globale; le esportazioni cinesi stanno aumentando rapidamente ma non si muovono le importazioni, così come non si muove il mercato interno, la debolezza della domanda interna costituisce una vulnerabilità strutturale.

L’economia cinese è ammaccata ma sembra dare segni di ritrovata vitalità, il Fondo Monetario ha rivisto al rialzo le stime della crescita, +4,5% nel 2024, e le valutazioni della borsa sono decisamente convenienti, torneremo a parlarne.

Dicevamo sopra che nei prossimi mesi avremo qualche indicazione in più per tirare righe tra i molti punti che si stanno affastellando nel quadro complessivo dei mercati finanziari. Ma, in realtà, la similitudine dei punti e delle righe è approssimativa, imprecisa: la realtà è sempre più complicata di un disegno, nella realtà le righe che collegano i punti non sono mai lineari, sono semmai discontinue, irregolari.

Nel giugno 1637 veniva pubblicato, in forma anonima, il “Discorso sul metodo” di Cartesio, manifesto del pensiero filosofico moderno. Il metodo insegna “a seguire il vero ordine e a enumerare esattamente tutte le circostanze di ciò che cerchiamo” scrive il filosofo.

Dal Metodo di Cartesio, con la maiuscola, al metodo dell’investitore, con la minuscola. La disciplina e il metodo sono i migliori strumenti per avere successo nell’attività di investimento, per tenere a bada le emozioni e, per quanto possibile, diminuire le occasioni di peccato, ovvero resistere alla tentazione di agire in modo impulsivo.

Quegli investitori che restano fedeli alla strategia di lungo termine messa a punto magari con l’aiuto di un esperto di fiducia, dimostrano una profonda comprensione dello scenario, hanno minori probabilità di rimanere vittime del panico che, come un fiume carsico, si presenta periodicamente sui mercati.

David Swensen scrive che “strategie di gestione attiva creano valore nel lungo termine ma gli investitori devono prevedere la possibilità di periodi di sottoperformance … molte strategie complesse esigono orizzonti temporali lunghi”, c’è la possibilità che decisioni che si riveleranno efficaci nel lungo periodo “nel breve termine sembrino prive di senso”.

Parafrasando il buon Cartesio, potremmo concludere che anche l’attività di investimento, come la filosofia, “non è un tempio ma un cantiere”.

Fonte: InvestmentWorld.it


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