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Bonetti Financial: Inflazione e politiche monetarie

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Nella notte il Dollaro americano ha ritracciato parte dei guadagni registrati nel corso della settimana che, comunque,……………


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con tutte le probabilità sarà all’insegna del rialzo nei confronti di tutte le sue principali controparti valutarie. Alla base di ciò vi è la possibilità di rialzo dei tassi di interesse, da parte della Federal Reserve, il prossimo 15 marzo. Secondo l’analisi dei futures le probabilità che ciò accada sono salite al 77,5%.

D’altra parte, con un inflazione al 2,5% e quindi già ben oltre il target fissato dalla banca centrale stessa e con un prodotto interno lordo comunque molto vicino al suo massimo potenziale, la banca centrale non può che intervenire sui tassi di interesse. Tale evenienza seguirebbe due principi economici fondamentali: l’ipotesi di Philipps (secondo la quale inflazione e i tassi di interesse nominali si muoverebbero sempre di pari passo, cosi da smussare le variazioni nei tassi reali) e la regola di Taylor (per la quale un incremento nell’inflazione, ad esempio, dell’1% deve essere sempre seguito da un incremento addirittura maggiore nei tassi di interesse nominali, in quanto quando l’inflazione sale i tassi reali devono salire più velocemente).  

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Ciò che ieri è invece passato decisamente in sordina è stato il dato d’inflazione nella zona Euro, risultato essere straordinariamente positivo. Sappiamo infatti che Mario Draghi negli ultimi anni aveva fatto di tutto per provare a riportare l’inflazione al suo target che, anche in questo caso, è fissato al 2%. Se da una parte quando i prezzi crescono troppo velocemente, come oggi negli USA, la banca centrale si trova costretta a stringere la propria politica monetaria, quando l’inflazione è troppo debole o addirittura negativa allora la banca centrale assume un atteggiamento espansivo attraverso tassi più bassi e altre misure di stimolo all’economia. Ieri però il Consumer Price Index (l’indice che misura le variazioni nei prezzi) è tornato esattamente al suo target del 2% anche in Europa e questo non potrà che avere delle ripercussioni sulle decisioni che verranno prese alla BCE.

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Ricordiamoci infatti che la BCE in questo momento non solo ha i tassi di interesse ancora a zero (contro il volere di paesi potenti come la Germania, dove tra non molto ci saranno le elezioni) ma addirittura ha ancora in corso il Quantitative Easing. Il rischio, in questo caso, è che se il trend rialzista dell’inflazione iniziato ormai un anno fa dovesse continuare anche nei prossimi mesi oltrepassando quindi l’attuale 2%, allora la BCE si troverà costretta ad uscire rapidamente (e fino a qualche settimana fa anche inaspettatamente) dalle attuale politiche monetarie ultra-espansive e ciò implicherebbe la chiusura dello spread rispetto all’azione della Federal Reserve.

Fonte: BONDWorld.it


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