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GAM: Lezioni dalla storia

GAM: Finisce il tempo dei rendimenti negativi e il tempo in cui i banchieri centrali parlavano con linguaggi oracolari. La ricorrenza della scomparsa di John Maynard Keynes offre l’occasione per ricordare che il grande economista fu anche un grande investitore, il suo metodo resta una “lezione senza tempo” anche per gli investitori di oggi


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A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR


 “Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo” ammonisce il disincantato Qoelet. Il tempo sotto il cielo della Pax Americana è terminato da un po’, ora sta finendo la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi quattro decenni e sembra finito il tempo dei rendimenti negativi.

Il valore delle obbligazioni globali con rendimenti sotto lo zero era di circa undici trilioni di dollari, ora si stima ne restino meno di tre, il rendimento del decennale americano è tornato a sfiorare il 3%, il decennale tedesco è vicino all’1%, un livello che non toccava dal 2015. È finito anche il tempo sotto il cielo del linguaggio obliquo, quello con il quale Alan Greenspan si rivolgeva ai giornalisti dicendo “se pensate di aver capito quello che ho detto, non sono certo che ciò che avete sentito sia davvero ciò che intendevo”.

Pochi giorni fa, in vista delle celebrazioni del 25 Aprile, il presidente Mattarella ha usato toni insolitamente diretti, con parole affilate ha rievocato il contesto storico della Festa di Liberazione facendo giustizia di qualche ambigua opacità. Altrettanto schietto è stato Jay Powell, lontanissimo dai toni oracolari di Greenspan. “Credo sia appropriato muoversi un po’ più in fretta” ha detto il presidente della Fed “prenderemo queste decisioni alla riunione e via via riunione per riunione, ma direi che 50 punti base saranno sul tavolo per maggio”.

Powell e i suoi colleghi del Comitato Federale che governa i tassi sono unanimi nel dichiarare urgente, per la banca centrale, la necessità di azioni a contrasto dell’inflazione più alta degli ultimi quarant’anni. Il presidente della Fed ha ricordato che la stabilità dei prezzi è l’indispensabile pre-condizione per il buon funzionamento delle economie.

I mercati si sono rapidamente adeguati, i prezzi ora scontano tre aumenti di mezzo punto ciascuno nelle prossime riunioni poi, da luglio, gli aumenti torneranno al consueto quarto di punto, i prezzi sembrano indicare per fine anno un livello del tasso ufficiale americano a 2,7%. Nello stesso seminario ospitato dal Fondo Monetario, Christine Lagarde ha usato parole più concilianti.

Nonostante i prezzi scontino nell’Eurozona il ritorno dei tassi allo zero per dicembre, la presidente ha spiegato che la Banca Centrale Europa è alle prese con un’inflazione dominata principalmente dai prezzi dell’energia, i rischi di recessione sono più concreti, la banca deve muoversi in modi più graduali e flessibili.

I rendimenti salgono e intanto le società hanno cominciato a rendere noti i risultati del primo trimestre: circa l’80% delle società che hanno comunicato i dati batte le aspettative ma il campione è ancora troppo limitato per avere qualche utilità. Due ricorrenze storiche suggeriscono, questa settimana, qualche riflessione sul metodo.

Molti investitori sono ancora convinti che l’abilità nella gestione dei portafogli si misuri sul successo delle singole scelte, sui titoli “che vanno solo su” come mi sentii dire da qualcuno un po’ di anni fa. Non è così, l’investitore di successo è colui che sa imparare dai propri errori. Il 21 aprile scorso ricorreva la morte di John Maynard Keynes, avvenuta nel 1946. Molti conoscono Keynes come l’economista più influente del XX secolo, la sua Teoria Generale ha costituito uno spartiacque, ha diviso la scienza economica tra un prima e un dopo.

Pochi però sanno che Keynes fu anche un abile investitore e il suo successo fu dovuto proprio alla sua flessibilità, alla capacità di analizzare gli errori e tenere a mente la lezione. Alla fine della Grande Guerra, la confusione valutaria forniva l’occasione di guadagni facili a chi avesse avuto il coraggio di fare scommesse forti. Keynes mise insieme un pool di investitori composto da familiari e dagli amici del circolo Bloomsbury e divenne il gestore di quello che di fatto era un rudimentale fondo hedge, dalle scommesse fortemente speculative.

Confidando nella sua “conoscenza superiore” delle regole del gioco, l’economista di Cambridge andò “corto” di marco tedesco, franco francese e lira italiana, valute vulnerabili all’inflazione post-bellica, e costruì posizioni “lunghe” su sterlina e dollaro americano. All’inizio le cose andarono bene e il patrimonio di quel fondo hedge ante-litteram crebbe di circa 80.000 dollari, grosso modo un milione di dollari di oggi. Poi accadde un fatto inatteso, nell’’aprile del 1920 la Germania riguadagnò la fiducia dei mercati, il marco e altre divise deboli si apprezzarono, le performance e capitale del fondo di Keynes si dissolsero.

Per rimediare all’imbarazzo di aver fatto perdere soldi agli amici, Keynes tornò sui mercati, lasciò perdere le valute e si dedicò alle materie prime. Avvalendosi sempre della sua “conoscenza superiore”, come la definiva lui stesso, studiò le serie storiche e le correlazioni cercando di anticipare la direzione dei prezzi.

Anche questa volta i risultati furono positivi per un po’ di tempo, poi le performance si incrinarono e, nel 1929, il crollo di Wall Street e la Grande Depressione fecero il resto. Ma è qui che si distingue la grandezza di Keynes investitore, la capacità di analizzare con freddezza i propri errori e modificare le strategie: se lo studio accurato di centinaia di pagine di prezzi, valori e serie storiche non era sufficiente a tracciare modelli previsivi, l’economista cominciò ad interrogarsi su quali fossero le leve che muovevano il mercato.

Le sue conclusioni sono contenute nel dodicesimo capitolo della Teoria Generale, sono gli “animal spirits”, gli slanci vitali degli operatori il motore invisibile del progresso economico. Riconoscere che gli “spiriti animali” non rispondono ai canoni delle leggi economiche e sono del tutto imprevedibili significò per Keynes cambiare radicalmente il proprio approccio agli investimenti. Anziché tentare di anticipare i movimenti del mercato sulla base di presunte conoscenze superiori, cominciò a concentrarsi sul valore dei titoli nel lungo periodo.

Oggi parleremmo di un approccio “value”, Keynes individuava titoli il cui prezzo appariva a sconto rispetto al valore dei fondamentali. Non riuscì ad evitare disastrosi “sell-off” ma fu comunque un investitore sapiente perché capace di adeguarsi ai cambiamenti del mercato cambiando a sua volta il modo di pensare.

I risultati complessivi sono ragguardevoli, John Wasik ha documentato questo aspetto meno conosciuto di Keynes e racconta che nel 1931, uno dei peggiori anni nella storia della borsa americana, il suo patrimonio perse il 25% a fronte di un crollo del listino di oltre il 52%. Nel 1937, altro anno difficile per le azioni (la borsa americana perse quasi il 33%) l’economista realizzò un risultato positivo di +8,5% e riuscì a far meglio della borsa inglese in 12 anni su 18.

Wasik definisce l’esperienza di Keynes come gestore del patrimonio del King’s College una “lezione senza tempo”, utile ancora oggi al professionista e all’investitore individuale. Anche Keynes commetteva errori ma nella mutevolezza dei mercati non è bravo colui che batte sempre il mercato (non esiste), ma colui che dagli errori trae insegnamento.

Keynes fu anche un precursore nel riconoscere l’imprevedibile natura degli “animal spirits”, sfuggenti alla razionalità. Nel celebre passaggio del “concorso di bellezza”, sempre nel dodicesimo capitolo della Teoria Generale, viene tratteggiato l’embrione della moderna finanza comportamentale: “ciascun concorrente deve scegliere non quei volti che egli ritenga più graziosi, ma quelli che ritiene più probabile attirino il gusto degli altri concorrenti, i quali a loro volta affrontano tutti quanti il problema dallo stesso punto di vista … abbiamo raggiunto il terzo grado, nel quale la nostra intelligenza è rivolta a indovinare come l’opinione media immagina che sia fatta l’opinione media della medesima”.

Sgombrato il campo dalle “conoscenze superiori”, è consolante sapere che non è necessario possedere il genio di Keynes per aver successo nell’attività di investimento, “non c’è nulla di altrettanto disastroso di scelte di investimento razionali in un mondo irrazionale”, è il suo monito. Ronald Read è un signore che ha condotto una vita modesta nel Vermont rurale, ha svolto mestieri normali, non ha mai fatto nulla di memorabile e nella sua vita non sono capitati fatti straordinari.

Eppure ha conquistato una notorietà sufficiente per ottenere una pagina su Wikipedia e citazioni su libri specialistici. Alla sua morte, nel 2014, Ronald Read sorprese i suoi concittadini per gli otto milioni di dollari lasciati in beneficienza. Come aveva fatto Read, con una vita così simile a quella di milioni di altre persone, ad accumulare così tanto denaro? Il benzinaio del Vermont non aveva ricevuto nessuna ricca eredità, non aveva vinto nessuna lotteria, ma aveva investito con regolarità e disciplina i suoi risparmi nelle blue chip di Wall Street, partecipando con regolarità agli aumenti di capitale. Con il condimento di una vita moderata il risultato era assicurato, un patrimonio che gli vale la riconoscenza di molti e un po’ di buona fama.

L’approccio di Read è stato molto diverso da quello di coloro che negli anni ’70 e ’80 seguivano i consigli di Joseph Granville, popolare analista finanziario che con la sua newsletter a pagamento dava agli abbonati indicazioni di investimento. Il 22 aprile 1980 Joe Granville, soprannominato Calamity Joe, avvisava i clienti “premium”, quelli che pagavano un extra per avere tempestivi “market alert”, di comprare azioni.

Il giorno dopo il Dow Jones saliva di +4,05%. Qualche tempo dopo i telefoni degli abbonati premium squillarono di nuovo, questa volta il messaggio era opposto, vendere tutto perché “il mercato ha raggiunto il massimo, click”. In effetti l’apertura del giorno fu subito negativa e il Dow chiuse a -2,5% con volumi doppi rispetto alla media giornaliera. “Il mercato mi ha detto di vendere e io faccio quello che il mercato mi dice di fare” diceva con sicurezza. In effetti le sue chiamate, è il caso di dirlo visto che il contatto era telefonico, sembravano colpire nel segno.

Però, guardando meglio, il track record di Calamity Joe era tutto sommato nella norma, le previsioni azzeccate andavano assieme ad altre grossolanamente sbagliate. La vera abilità di Joe Granville, che lo rendeva diverso dagli altri guru del mercato, non era la qualità delle sue previsioni ma l’assertività con cui le formulava, la sua sicurezza non lasciava spazio a dubbi.

Le radici del suo successo si nascondono nelle pieghe della nostra costruzione cognitiva: il dubbio, il pensiero critico, il ragionamento per ipotesi sono fenomeni relativamente recenti, nascono con l’elaborazione del pensiero astratto. Nelle migliaia di anni evolutivi le popolazioni di cacciatori/raccoglitori affidavano la propria sicurezza a un capo, e quanto più questo era, o sembrava, sicuro, tanto più erano, o sembravano, elevate le probabilità di sopravvivenza. Le eco ancestrali del bisogno di sicurezza riaffiorano nelle fasi di acuta incertezza che sono il regolare contrappunto dei mercati finanziari, si tende ad affidarsi quasi naturalmente alle parole di chi più di altri sa trasmettere sicurezza (e non solo negli investimenti).

Joe Granville non sapeva come sarebbe andato il mercato, non più di chiunque altro. Mancò del tutto lo storico rally del 1982, non aveva capito la portata delle misure anti-inflazionistiche di Volcker e il suo posizionamento “bearish” costò una fortuna ai 13.000 abbonati che gli erano rimasti fedeli. Ma era un fantastico comunicatore, “non potrei mai fare un grave errore nelle previsioni di mercato” diceva con risolutezza. I mercati sono un sistema complesso, adattivo: Keynes ebbe successo non per il suo genio ma per la sua flessibilità, a Wall Street un benzinaio del Vermont rurale, dotato di metodo e capace di pazienza, può fare meglio di tanti esperti

Fonte: AdvisorWorld.it


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